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Gioco d’azzardo: dipendenza patologica emergente o emergenza?
“Il gioco d’azzardo patologico”: è stato questo il tema del IV congresso regionale della Società Italiana Tossicodipendenze che si è tenuto ieri nell’Aula Magna della Facoltà di Medicina, con il patrocinio della Società Italiana di Farmacologia e dell’Università Magna Graecia.
Dopo i saluti di apertura ed una breve introduzione del professor Giovambattista De Sarro (Professore Ordinario di Farmacologia e presidente regionale SITD) e del Direttore del Ser.T di Soverato, dottor Franco Montesano, la prima lezione alla platea è stata tenuta proprio da De Sarro che ha messo in luce, magistralmente, i vari aspetti di questa “malattia sociale” (secondo la definizione del OMS).
“Una percentuale compresa fra lo 0,5 e il 2,2% degli italiani - ha detto De Sarro - ha problemi legati al gioco d’azzardo patologico perciò è risultato necessario capire quali potessero essere quelle condizioni accomunanti dal punto di vista sociale, familiare, ma anche neurologico. Vari studi hanno messo in evidenza una certa vulnerabilità genetica di questi soggetti sul recettore DRD2 dopaminergico e, quindi, tutti i sistemi ad esso correlati. Portando diversi esempi, dal neuroimaging allo studio dei singoli neurotrasmettitori, De Sarro è riuscito a chiarire aspetti che risultano sconosciuti ai più, ovvero che “alla base di questo comportamento anomalo esiste un deficit, una differenza fra chi ne soffre e chi ne è immune”.
Il secondo relatore, il dottor Enrico Monferrari, dirigente del Centro Sociale “Papa Giovanni XXIII” di Reggio Emilia ha, invece, parlato di un aspetto molto più pratico legato ai costi di gestione del malato, ma soprattutto alle motivazioni merceologiche che hanno portato ad un incremento della percentuale dei giocatori patologici negli ultimi anni. La differenza tra i vecchi (lotto, superenalotto..) e i nuovi giochi (video poker, giochi online, gratta&vinci…) è che è aumentato esponenzialmente il payout, ovvero il guadagno del giocatore, diminuendo però le entrate erariali in modo diametralmente opposto. Se i giochi avevano lo scopo di aumentate le entrate erariali, ora i giochi portano in realtà solo costi gravosi allo Stato e contestualmente producono un aumento dei giocatori patologici.
A seguire il professor Icro Maremmani (Ordinario in Medicina delle Tossicodipendenze, Università di Pisa), ha relazionato sul tema “Gambling e il sistema oppiaceo”. Infatti, da molti studi risulta come sostanze di natura oppiacea possano interagire con il giocatore patologico. “Spesso - ha detto Maremmani - questa dipendenza è associata ad altre dipendenze di tipo sedativo, ad esempio alcoolismo od oppiacei, il che fa presupporre che alla base ci spossa essere una disfunzione dell’eccitabilità, che poi porterebbe ad un susseguirsi di comportamenti che sfociano nel patologico”.
Il professore, quindi, ha ipotizzato che la patologia in questi soggetti è presente da sempre, sia che essa sfoci con la dipendenza dal gioco, sia che lo faccia con la dipendenza da sostanze. Ma la droga è nella sostanza o nel cervello che la riceve?
A tale domanda, riallacciandosi alla lezione di De Sarro, ha risposto nella sua relazione il dottor Pier Paolo Pani (Dirigente Medico Direttore Servizi Socio Sanitari ASL di Cagliari) portando innumerevoli esempi su come, in realtà, la patologia sia già presente nel cervello.
E’ seguita, quindi, un’ampia e approfondita discussione alla quale hanno partecipato il dottor Gregorio Cerminara (al posto del professor Pasquale De Fazio, assente) e il dottor Attilio Insardà (Dirigente Medico CSM, ASP di Catanzaro). Cerminara e Insardà hanno relazionato sulle comorbilità psichiatriche, spesso presenti nella patologia del Disturbo da Gioco d’Azzardo. Si è parlato di patologie quali depressione, schizofrenia, ansia, disturbo post-traumatico, morbo di Parkinson (quest’ultimo a causa dei farmaci dopaminergici) e di comportamenti additivi, quali alcoolismo e il tabagismo.
Successivamente il dottore Augusto Consoli (Direttore Dipartimento di Patologia delle Dipendenze “C. Olievenstein” ASL TO2, Consiglio direttivo del SITD), ha parlato sapientemente di un altro aspetto, ovvero, ha dato al problema GAP una lettura più antropologica. Il gioco sviluppa funzioni cognitive, affettive, socio-relazionali. Esso costituisce uno strumento di espressione e comunicazione. Un “adattamento ad un ambiente che non c’è” perché è entrato nella vita di tutti i giorni tramite, internet, social network e cellulari.
A chiusura dell’incontro si è ricordato che di recente il Decreto Legislativo Balduzzi ha inserito il GAP nei LEA, ovvero ha opportunamente riconosciuto questa patologia come rilevante dal punto di vista epidemiologico e sociale tanto da dover essere obbligatoriamente considerata a totale carico del SSN. I servizi di riferimenti saranno quindi i SerT, luogo naturale di cura delle dipendenze patologiche, assieme agli altri servizi socio sanitari cointeressati (centri di psichiatria).
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