poesia
I “Tramonti” di Giuseppe Prestia
Con la silloge “Tramonti”, dopo alcuni libri d’arte e di narrativa pubblicati tutti con l’editore Ursini, Giuseppe Prestia, nato e residente a Gioiosa Jonica Marina, torna alla poesia.
Molto apprezzato da Giorgio Barberi Squarotti e da altri illustri professori universitari di letteratura moderna, Prestia, pur nel caleidoscopio dei tanti temi vagliati, sofferma ora la sua riflessione sulla vita e sul tempo, sulle memorie e sulla Bellezza, posti a premessa del suo “discorso esistenziale” in ordine alla speranza di una vita oltre la vita.
Non trascura, però il mondo contemporaneo, da lui considerato paradigma vivendi nocivo all’esercizio dei valori e della riflessione. Una rappresentazione del mondo e della natura umana che senza moralismi o falsi pudori, ci rievoca la realtà.
Prestìa, quasi a voler trovare ristoro dalla sofferenza vissuta quotidianamente, come una carezza a sé stesso ed alla sua memoria, si rifugia nella nostalgia del mondo agricolo-artigianale della sua infanzia, semplice ma felice, ormai scomparso; fino a giungere alla rievocazione del mondo pastorale dell’Arcadia. Sono versi che urlano il suo dolore per la violenza che viene ogni giorno consumata sull’armonia della natura dall’uomo, ormai incapace di cogliere la sintonia euritmica creaturale.
“Si tratta di un’opera - scrive Mario Donato Cosco - in cui la conoscenza più elevata si fonde con la vita quotidiana, che fa luce sulla vita interiore dell’autore e, nel contempo, racchiude tutto il suo iter spirituale, reso particolarmente faticoso dall’atmosfera dei nostri tempi, verso la saggezza. Sono le piccole cose della quotidianità che inquietano lo spirito dell’autore, ma, nel contempo, occupano gli spazi più profondi del suo cuore, dove custodisce i suoi tesori celati e nascosti agli occhi dei più”.
É sicuramente quest’ultima la cifra di decodifica da adottare per chi intende indagare l’universo spirituale di Giuseppe Prestia ed avere la possibilità di coglierne, parafrasando Antoine de Saint-Exupéry, l’essenziale invisibile agli occhi.
Nel silenzio della sua inquietudine, solo apparentemente vuoto, ha trovato consapevolezze che gli hanno, poi, consentito di porsi e porre le domande fondamentali sul senso della vita e dell’altrove oltre la vita.
“A questo - continua Cosco - vanno ricondotte le meditazioni di Prestia che, nello spazio sacro della sua coscienza, “esamina” le categorie fondamentali della vita: Bene e Male, Amore e Bello, Tempo, Fratellanza. È vivido nella sua coscienza il conflitto interiore tra bene e male. L’autore sembra ribadire, con Tolstoj, che la vita è l’anelito al bene e, altresì, rimarcare, con Marco Aurelio, che la fonte di ogni bene è contenuta dentro sé stessi e basta scavare all’interno di noi stessi per far zampillare una copiosa fonte di bene. Non trascura, altresì, di rilevare che la dicotomia bene-male è connaturata nell’uomo, perché oltre il bene ed il male s’incontra Dio”.
Il Tempo, muto testimone del trascorrere dei giorni e delle stagioni, sembra quasi un suo pensiero dominante. Alcune sfumature richiamano il lettore alla concezione di Seneca, allorquando afferma che la stessa anima è fatta di tempo ed esorta a sentirlo come l’unica vera proprietà dell’uomo.
Vi sono versi che richiamano l’eracliteo πάντα ῥεῖ, (panta rei), «tutto scorre». Quindi, si potrebbe essere indotti a ritenere che il poeta si sia arreso alla concezione dell’eterno divenire della realtà, rinunciando alla sua personale ricerca dell’Essere.
Ma non è così: Giuseppe Prestia si percepisce come frammento tremante nella sfera della vita e come anima che avverte in sé l’armonia ritmica dell’universo. Intuisce che la presenza di Dio si può cogliere riuscendo, quasi pitagoricamente, ad avvertire le vibrazioni armoniche dell’Universo. Anzi, le vibrazioni originarie si distendono, nella sensibilità del poeta, su un immaginario pentagramma degli elementi del creato.
É convinto della necessità che l’uomo riguadagni la primigenia dimensione divina, ma per farlo ha bisogno di trovare la “via giusta”, che il poeta sembra individuare in una specie di percorso iniziatico, viatico per l’intuizione possibile del Mistero di un’altra dimensione. Senza il “mistico sentiero”, la ricerca del Principio è destinata a fallire.
“Tra ontologia e teologia – sottolinea Mario Donato Cosco - Prestia si ritaglia una dimensione sui generis e la fa abitare dalle domande cruciali sulla vita, sul destino, sul Nulla, sulla Trinità divina. Non tralascia di individuare ed indicare alcune coordinate esistenziali poste come arcobaleno probabile tra l’hic et nunc e l’Altrove metafisico; e cerca disperatamente una risposta a questi interrogativi, perché è consapevole che in ognuno di essi si nasconde l’«occultam lapidem» necessaria per comporre il mosaico di una possibile Intuizione del Divino, alla stregua dello spinoziano «Amor Dei intellectualis». Infine, l’opera ha una dimensione pervasiva implicita e corroborativa che, seppur sfumata, contrassegna ogni verso: si tratta del personalissimo soliloquio con sé stesso e del dialogo che il poeta tiene sempre aperto col tempo. Una conversazione assidua con sé stesso e con gli uomini, fuori dai limiti di spazio e di tempo. Prestia cerca risposte e soluzioni, mettendo in luce i dubbi, le incertezze, le contraddizioni dell’uomo e della società. Le riflessioni, seppur condotte attraverso componimenti separati, costituiscono uno sviluppo unitario di meditazione, scaturiscono, di volta in volta, dalle sollecitazioni quotidiane della vita, dai quesiti etici che essa ci pone”.
«Tramonti» non è solo il titolo della raccolta poetica; ad esso Giuseppe Prestia affida il messaggio fondamentale: nella piena consapevolezza della brevità della vita, al tramonto della sua ne richiama alla memoria i cicli irrisolti: dalle situazioni incompiute, alle relazioni rimaste sospese, alle emozioni non sempre accolte. Ripensa a quante volte il suo cuore ha scavato trincee per schermarsi dai dolori dell’esistenza; ai momenti bui in cui si è sentito ferito dalla vita.
Il suo pensiero, allora, si sofferma a “contare” i misteri insoluti che compromettono ancora la sua serenità esistenziale.
In un mondo che considera al tramonto della civiltà, il poeta medita sulla fragilità dell’uomo, re del creato, di fronte al mistero. Realizza che, dopo tutto, al pensiero umano non è concesso intuire l’eterno e l’assoluto. Giunge persino a dubitare, cartesianamente, dell’essenza stessa dei mondi.
Scrive: «Come foglia al vento / la vita barcollando scende / nell’apparente Nulla…». Ma il Nulla a cui il poeta si riferisce non è nihilistico; al contrario, è “vita potenziale”, è dimensione altra «dov’oltre l’astro azzurro / altro più bello ancor si spera». Il Nulla coincide con l’Assoluto e la stessa morte è concepita da Prestia come transito ad altra dimensione più bella.
Quando il poeta sembra cedere di fronte all’ineluttabilità del mistero dell’esistenza, puntuale, alla soglia del suo animo si affaccia la cognizione di non essere vissuto invano, sostenuta dalla consapevolezza di aver concepito e condiviso la bellezza delle sue opere, promotrici di sempre nuove suggestioni e riflessioni.
“Le meditazioni che Giuseppe Prestia ha messo in versi richiamano alla mente del lettore il ciceroniano «Cato Maior de senectute», opera filosofica sulla vecchiaia, che sembra supportare, per linee essenziali, l’intero percorso meditativo della silloge. Per concludere, - dice Cosco - bisogna immaginare “Tramonti” al pari di una sfera policroma sospesa tra lo spazio ed il tempo che, nell’illuminare le mille sfaccettature della vita, alimenta e vivifica lo spirituale desiderio del ritorno al Padre. Tutto riconduce a questa meta aspirata. Di questa sua opera si può sicuramente dire, con Eugenio Montale, «eppure resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto».
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