poesia
OLTRE IL SIPARIO DELL'ECO
Fulvio Castellani, poeta, narratore, critico letterario, curatore di antologie, specializzato in interviste, prefazioni e recensioni, è un personaggio molto noto nel panorama della cultura italiana e autore di diverse opere letterarie.
Per la terza volta si presenta al pubblico con un’opera il cui titolo inizia con l’avverbio “oltre”, e ciò sta a significare che lo scrittore è abituato ad andare in “profondità”, a sviluppare un sistema di osservazioni, riflessioni ed espressioni che tengano conto di fattori psicologici, introspettivi, relazionali, linguistici, speculativi e assommativi di natura multidisciplinare.
“Oltre lo spazio dell’eco”, strutturato in due parti, la prima in lingua e la seconda in vernacolo friulano, si presenta, infatti, come un’incursione nelle pieghe più profonde del subconscio, un ripensare critico, cosciente, alle ragioni della vita, ma con una precisa e scandita modulazione in chiave poetica. Un ripensare che è nostalgia, malinconia, lucida ri-scoperta di un vissuto che, giunto al limite estremo di un percorso in salita, il protagonista, l’uomo, lo scrittore, il poeta, il sognatore, deposto il proprio fardello esistenziale, si volge indietro, come Sisifo, a contemplare, a rivivere il proprio flusso delle ore consumate nella gioia della fanciullezza, nel fervore della giovinezza, nelle scelte e prospettive dell’età matura, fino alla soglia del tempo presente, dove tutto, ormai, appare illusione, falsità, noia, inganno; e quando “l’occaso brilla di luce fosca” e il domani si preannuncia con “profilo incerto” nasce il desiderio di dimenticare “clessidre e croci”, voltare le spalle ai tempi nuovi che non hanno più nulla da promettere, nulla da dare, se non sconcerto e manifestazioni di egoismo, arrivismo, spudoratezza, “lacrime e soprusi / compromessi e specchi bugiardi”… Ritornano allora pensieri che affondano nel tempo, mentre l’onda lunga dell’amore per la poesia rinnova gli echi dei lunghi silenzi meditativi, da cui scaturisce “l’armoniosa sinfonia / di un concerto di parole” che riscalda il cuore e dona fertili semi di conoscenza alla mente.
In quella che comunemente chiamiamo la terza età, la stagione autunnale dell’uomo, si fanno sempre più pressanti i ricordi, da cui, nel poeta, nasce la consapevolezza che non tutto è stato vano o sacrificato inutilmente al fluire del tempo. E’ pur vero che il poeta, nella seconda parte della silloge, che raccoglie testi in vernacolo, confessa che gli è mancata l’energia di realizzare compiutamente i suoi sogni, di portare a compimento l’ambizioso progetto di “trasformare le parole / in giornate di gioia”, di dare alla sua arte il sigillo dell’epopea capace di affrontare e vincere la vertiginosa corsa del tempo. Convinzione, per altro, ribadita nella lirica “Poeta del nulla” (prima parte), dov’egli si chiede “chissà mai dove andranno / le parole della poesia, / dove il sordo frastuono del nulla / porterà quel dolce fragore / che il respiro dei versi / avvolge con sussulti d’amore / in un malinconico rifugio…”. Ma i tanti momenti di sconforto e di abbandono al pessimismo vengono riscattati dal fermo proposito di non mollare, di non lasciarsi sopraffare dalla sfiducia e dall’inedia, ma di continuare a calcare la scena della vita, a recitare la propria parte fino in fondo, a guardare avanti con fiducia. Sembra destino del poeta quello di vivere in maniera spasmodica le contraddizioni dell’esistenza, di precipitare spesso nel torpore delle ore, nel fondo nero della tristezza, nelle brume della solitudine, per poi risalire faticosamente alla sorgente di nuove emozioni, alla fonte della poesia, a imitare il dolce “flautare del vento”, a trovare sulle corde della sua arpa le note giuste per accordare “un canto d’amore” e innalzare l’anima alla sfera del divino. In fondo la poesia, quella vera, è un’ascesa alle supreme altezze dell’inviolabile, un tentativo di approdo alla perfezione, agli archetipi originari di bellezza e armonia.
Il percorso poetico di Castellani appare alquanto complesso, nel senso che riflette gli umori altalenanti suscitati da un rapporto spesso conflittuale con la realtà, in particolare con quella presente: una bolgia di odi e di violenze in cui “le campane ad ogni ora / suonano a morto”, ma anche di paradisi artificiali e assurdi, dove tutto è fittizio, momentaneo, incerto, illusorio, fatto di vibrazioni assordanti, “di lacrime rapprese, di silenzi…”, di attese.
La poesia appare, in certi momenti, come l’ultima spiaggia cui affidare tracce concrete, certe, prima che l’onda lunga del tempo vi deponga sopra le ceneri dell’oblio. Il poeta è del tutto consapevole che non bastano l’impegno, la volontà e la disposizione a scrivere poesie per garantirsi un posto nel Pantheon delle muse. Ci sono fattori esterni del tutto imprevedibili che determinano la continuità o meno nel tempo di un’opera d’arte, soggetta alle temperie dell’ambiente storico-culturale, all’interesse o disinteresse della critica e dei lettori, ai capricci della sorte. Ma la discontinuità delle situazioni che il poeta sta vivendo porta anche alle alterazioni dei pensieri, delle emozioni, dei sentimenti, ragione per cui anche la fede nella parola, soggetta alle istantanee dell’io, oscilla, lascia il posto al più oscuro pessimismo, e la sfiducia nella parola si traduce in sfiducia nella poesia e, più in generale, nella “scrittura”: “Ancora parole, altre parole / ad innaffiare pagine bianche / inutili / voltate e rivoltate / per dire niente, polvere / cenere e ancora cenere”.
Tristezza e noia, sono altre componenti rintracciabili nella poesia di Castellani: “Quanta noia, quante assenze navigano nel vuoto in quell’infinito irraggiungibile / ancorato al nulla”. Al rapido scorrere della vita succede l’immobilità del tempo, ossia il vuoto, il nulla. Ed è proprio il pensiero della nullificazione del tempo che produce lo sprofondamento dell’animo in una condizione di assorta pensosità che richiama alla mente frammenti di vita vissuta, volti, luci, ombre, misteri, sconfitte, rimpianti per i cieli azzurri dell’infanzia quando “tutto si apriva al canto” e “c’era intesa tra il sogno / e i giorni leggeri, aerei”.
Nella seconda parte, “Claps di Paîs” (Sassi di paese), in lingua friulana (abbastanza insolita per Castellani), il poeta dà spazio all’ambiente natale in cui vive; un ambiente molto cambiato nel corso degli anni, soprattutto dopo il sisma del 1976, e che lui si riprende navigando a ritroso, rileggendo il “vuoto” delle assenze umane crescenti, soffermandosi sui segni di una natura che non è più la stessa di quando era giovane…
C’è malinconia e amore nel suo dire. C’è il profumo del suo vecchio paese di collina, dei ruscelli, delle stradicciole, dei boschi, dei sentieri. Riappaiono nei suoi versi “fazzoletti di prati sfalciati”, “vecchie radici”, sassi “rotolati giù dalla montagna”, “un angolo di cielo”… E tutto questo gli basta per vincere qualsiasi desiderio di abbandonare il paese dove venne alla luce negli anni della seconda guerra mondiale e per accettare le tante cicatrici ancora aperte, le croci che aumentano.
Son tanti, e non solo questi, gli “echi” memoriali e di vita vissuta e resi “materia” d’arte espressiva consegnata da Fulvio Castellani alle pagine che seguono, in cui il lettore potrà gustare e verificare i pregi d’una scrittura sorretta da genuina ispirazione che dà vita ad un verso fluido, in cui l’io si pone attore e interprete di una realtà spirituale, ambientale, epocale, personale e sociale, liberando di volta in volta il magma di sempre nuove e sofferte emozioni e sensazioni, per strutturarle in atti di accurata e raffinata produzione poetica.

Antonio Crecchia
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